Negli ultimi anni, specialmente dopo l’esperienza del covid, abbiamo assistito ad una esplosione delle richieste d’aiuto nell’ambito della salute mentale. Tra gli altri dati sono indicativi, in questo senso, quelli relativi alla richiesta del bonus psicologo: a pochi giorni dall’apertura delle domande possiamo già prevedere che, a fronte dei fondi stanziati, solo una piccola parte di coloro che hanno fatto richiesta riusciranno ad usufruire del bonus. Si nota insomma tanta richiesta, indice delle necessità della popolazione, e poca disponibilità. Di salute mentale ultimamente si parla tanto, ma non necessariamente in modo adeguato. Se da un lato si pone molta più attenzione a questa tipologia di problematiche, con tanto di iniziative istituzionali, dall’altro il modo in cui la salute mentale viene inquadrata risulta essere tristemente orba e slegata dal contesto sociale.
La salute mentale è cioè, per molti, una questione squisitamente personale: si ha un problema perché si ha un trauma, perché si ha un disturbo di personalità, perché si è stati educati in un certo modo e così via. È indubbiamente vero che la storia personale di ognuno di noi abbia un peso importante sul nostro equilibrio psichico, ma il contesto sociale gioca un ruolo altrettanto cruciale. Possiamo affermare, difatti, che ogni epoca storica abbia il suo disturbo psichico preferito. È eclatante, in questo senso, il caso dell’isteria, un fenomeno di grande interesse per la psichiatria dell’800 e che ai tempi d’oggi risulta virtualmente scomparso. L’isteria è caratterizzata da una sintomatologia che coinvolge l’apparato senso motorio, come paralisi di arti, cecità, sordità e parestesie: questi sintomi non sono dovuti ad effettive lesioni organiche ma sono frutto di un processo di somatizzazione delle emozioni che non trovano una via di espressione nell’individuo.
Ai giorni nostri è estremamente raro imbattersi in una nevrosi isterica. Le problematiche più discusse nei social e che sembrano essere molto comuni sono solitamente l’ADHD, le forme ad alto funzionamento di autismo, i disturbi alimentari come anoressia e bulimia, e l’isolamento sociale (sindrome hikikomori), spesso e volentieri tutte miscelate in diverse percentuali in un pastone indistinto e spesso trattato in modo poco scientifico che, a mio avviso, sono il sintomo di un problema più ampio legato a fattori identitari. Quel che è certo è che le problematiche del nostro millennio sono generalmente quelle legate all’immagine di sé stessi, a come questa immagine si colloca nel mondo, e a quanto questa immagine risulti essere adattiva.In altre parole, le difficoltà odierne riguardano la sfera dell’identità. Quando parliamo di salute mentale gli utenti sembrano essere più interessati al ricevere un’etichetta diagnostica che vada a sedare le inquietudini identitarie piuttosto che “raggiungere” il benessere mentale. Questa incertezza identitaria investe la società tutta, le relazioni sociali in primis. Sembra quasi impossibile oggi avventurarsi nella vita senza prima sapere chi siamo, mentre in precedenza il non sapere chi fossimo rappresentava il presupposto per l’esplorazione. Si sono invertiti, cioè, il punto di partenza e il punto di arrivo, e questo è da imputare ai cambiamenti socio economici della società: quando la società non è in grado di fornire stabilità e certezze, soprattutto sul piano economico, i cittadini si stringono attorno a questioni identitarie come meccanismo di difesa.
Grandi autori come Zygmunt Bauman e Mark Fisher hanno esposto idee molto illuminate sulla società e sulla salute mentale, e vi invito a recuperare i loro scritti. Quel che ci interessa qui ai fini della discussione è che la salute mentale non è, come può sembrare, un fatto meramente individuale, ma un problema sistemico. Se la società dell’800 favoriva l’insorgere dell’isteria, la società odierna favorisce l’insorgere di anoressia e isolamento sociale. Se vogliamo parlare di benessere mentale allora un lavoro esclusivamente clinico ed individuale è un lavoro orbo: bisogna lavorare anche sulla società, e noi tutti in qualità di cittadini siamo chiamati a partecipare. Che sia il volontariato o che sia la mobilitazione politica non importa: è imperativo, per avere una buona salute mentale, prendersi non solo cura di sé stessi, ma anche di ciò che è comune a tutti, in modo da creare una rete protettiva di legami in grado di fornire un supporto all’individualità.
Per concludere il benessere mentale non riguarda solo l’individuo, ma è anche e soprattutto una questione politica. Quando oggi usiamo la parola “politica” ci riferiamo in realtà ad un’altra parola, cioè “partitico”. Politico equivale, cioè, a destra o sinistra, e questa metamorfosi ha impoverito pesantemente la nostra società. Quando parliamo di “politica” bisogna intenderla nel senso etimologico del termine, cioè ciò che riguarda la vita pubblica e di tutti. Così come individuo e società non possono e non devono essere scissi, allo stesso modo il discorso sulla salute mentale non può essere scisso da un discorso sociale, economico e politico.
Di Valerio D’elia
